venerdì 30 dicembre 2011

grazie




 Domani dovrò salutare un amico che mi è stato accanto per un anno intero.
Ogni giorno, ogni attimo, nel bene e nel male, donadomi tutto quello che mi poteva dare.
L'abbraccerò forte come merita un amico.
Non farò sottrazioni ma solo addizioni.
Non ripenserò ai ma ne ai perchè, semplicemente lascierò che aggiunga un nuovo cerchio al mio tronco.
Non mi piace buttare l'anno vecchio.
Ogni anno è un anello chiaro o scuro che segna il mio cammino e resterà nascosto dentro me.
L'abbraccerò in silenzio, perchè ogni parola che è stata scritta l'abbiamo scritta insieme
. . . buon riposo anno vecchio

Maria Maddalena Corrado  

domenica 18 dicembre 2011

Ed è già Natale



Caro Babbo Natale
. . . quanto poco Natale c'è nell'aria.
No, non farti ingannare da tutte queste luci . . . c'è chi non alza neppure il capo per guardarle.
Ma io non ci riesco. Mi piacciono questi colori, mi piace il tintinnio lieve , mi piace la magia . . . mi piacciono le risa dei bambini, i loro sogni . . .
Alberi , ovunque alberi , alberi colorati , eleganti , alberi in festa . . .  alberi , quanti non hanno nessun pacchetto ai loro piedi e non l'avranno ?
Pacchetti , regali , doni . . . donare . . .

Guardo il mio albero , è lì , mi sorride e aspetta . Aspetta i doni che vede riflessi nei miei occhi . E' felice , forse si chiede quando li poserò ai suoi piedi . . . l'albero non lo sa ancora ma non avrà nessun pacchetto quest'anno . . . dovrei dirglielo . . . ma aspetto ancora un po'. . .

Donare . . .
Donare , donare col cuore , cercare , scegliere , trovare , dare . . .

Chiudo gli occhi , non devo nemmeno cercarlo , c'è sempre . E' un albero piccolo piccolo non ha pacchetti ma è pieno di doni . Piccole caramelle , tre grosse arance , noci , nocciole e un torrone diviso in tre piccoli pacchetti . . . ed è già Natale ! ! !
E' già Natale . . . dividerò un torrone in mille piccoli pezzi , ne farò pacchetti colorati , li legherò con il nastro più prezioso e sarà ancora e sempre Natale.
Maria Maddalena Corrado ©

martedì 13 dicembre 2011

Nel Mondo di Nireide

Non capisco ancora bene perchè e come mai ma per verissimissimo questa volta mamma non si è persa!!!
( era anche facile . . .  sempre dritto . . . anche se poi  . . . è riuscita a perdersi . . .  nel ristorante . . .  ma come si fa??? )
Comunque . . . siamo arrivate e ad accoglierci c'era una principessa!!!
Per davvero!!!
Una principessa con un sorriso grande, la principessa Nireide.
non la conoscete?
. . . come mi dispiace.
:- (
Nireide ha preparato una bella festa, c'erano bambini piccoli e bambini grandi e . . . tanti sorrisi!!!
E' stato bellissimissimo!!!
:- )))
Ero troppo emozionata, non riuscivo a parlare, così ho lasciato che parlasse mamma . . . beh, lasciamo perdere!!! Anche i pumin ( guanciotti) rossi . . . ma dai!!!
Ma voi avete una mamma così???
No?
. . . beati voi!!!
Ma i bambini sono angeli e hanno fatto finta di niente!
:- )
Mi è restato solo un dubbio . . . come hanno fatto gli abitanti di Torre di Mosto a portare via il Municipio dal paese di Stanislao?????
Uguale uguale, preciso, identico!!!!
Mamma è restata a bocca aperta, con il naso all'insù. Si guardava attorno, strofinava gli occhiali, si è data anche un pizzicotto . . . il Municipio era li!!!
In mezzo alla piazza, tra tanti alberi colorati e  . . . il suo bell'orologio nel centro della facciata.
Giuro che è vero, anzi mi farò mandare una cartolina, così vedrete con i vostri occhi.
Sono stata benissimissimissimo, ho incontrato occhi buoni, cuori gentili, ho ricevuto e dato abbracci grandi di quelli che . . . scaldano.
Sapete cosa penso? . . . Penso che ogni volta che si abbraccia qualcuno ci portiamo via un pò di lui e lasciamo un pò di noi.
Sì, credo che sia proprio così!!!
Ed io ho portato a casa piccole piume, leggere, lievi, semplici piume . . . come quelle che solo gli angeli hanno.
Ho portato a casa un sacco pieno di doni.
I sorrisi dei bambini.
Un libro prezioso, disegnato da Ester.
Un grande cuore rosso.
Un abbraccio speciale, quello di nonna Antonietta.
E la gioia di avere stretto forte forte due amiche, Nireide e Marina.
Marina . . .  Marina è come la sua casa o la sua casa è come lei, un sogno colorato.
Colorato d'allegria e di sogni belli.
Ed è per questo che amo il Mondo, perchè ci siete voi!!!

.

venerdì 2 dicembre 2011

mille cuori un solo battito


Carissimo Babbo Natale
vorrei che tu non portassi nulla . . .
Vorrei che tu portassi via.
Vorrei che tu portassi via i troppi dolori, 
gli errori, le lacrime,
 le ingiustizie, i massacri . . 
Vorrei che tu portassi via tutte le vergogne.
E se proprio vuoi lasciarci qualcosa
lasciaci la capacità di sentire mille cuori 
che danzano al suono di un solo battito













































domenica 27 novembre 2011

Caro Babbo Natale ti scrivo . . .





Carissimo Babbo Natale
vorrei , per un solo giorno all'anno, essere magica!!!
Per poter esaudire il suo desiderio ed anche il suo ed il suo . . .
mi impegnerei tantissimo, non mi stancherei di saltellare.
Dammi un solo giorno, non smetterò sino all'ultimo secondo.
Da ranina sincera con tutto il cuore te lo prometto!!!
Babbo Natale conosco tanti cori belli . . .  dammi solo ventiquattro ore.
Porterei  un sorriso, una speranza e  una valigia piena di allegria.
Porterei un libro con le pagine bianche a chi non ha più voce, un libro di parole a chi si sente solo, un libro colorato a chi ha dimenticato di sognare.
Porterei  la torta della nonna, un profumo perduto, scatole da riempire e . . . armadi da svuotare.
Dammi solo millequattrocentoquaranta minuti . . . li spenderò bene.
Porterei una voce scordata, una risata dimenticata e un abbraccio forte forte.
Gocce di pioggia e raggi di sole, fili d'erba e mazzi di fiori.
Dammi solo ottantaseimilaquattrocento secondi . . .  ne farò buon uso.
Caro Babbo Natale un secondo dura poco, è breve come un battito di ciglia, lieve come un fiocco di neve, leggero come un petalo di fiore ma prezioso come il sorriso di un bambino.
Caro Babbo Natale . . .
ti voglio un mucchissimo di bene, Elvira

sabato 26 novembre 2011

Buon Natale









La vecchina del presepe

La vecchina abitava da anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepe. Ilpresepe era quello che sta a Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra le rovine dei Fori Imperiali ed è uno dei più belli del mondo, con montagne, burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere.
Ma la gente vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichisecchi, castagne, caciotte.
E scale, scalette, scalinatelle: tutto un labirinto festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono incuriositi, ragazze ballano la tarantella per far onore agli ospiti, si mesce il vino, si drizzano tende ricche come regge.
Sulla collina più alta, nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello.
Preparò un fagotello di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un mazzetto di gradini. Piano, piano, andava più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani, e in mezzo a loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica.
«Coraggio, nonnetta!» la salutarono.
«Non é il coraggio che manca», rispose, fermandosi a guardarli «Andate, andate, belli di mamma vostra.»
Ma quelli erano già arrivati in fondo alla valle, come una allegra valanga. Un vecchio che fumava la pipa sotto il portico di casa la chiamò:
«Ce la farete ancora? E’ lunga la strada.»
«Ce la farò, ce la farò. Sarò l’ultima, ma alla mia età non é vergogna.»
La vecchina sospirò, ma seguitò a camminare. Non aveva tempo da perdere. E giù, e giù per sentieri e scale, e su, e su per scale e sentieri. Doveva passare ancora le montagne prima di giungere alla pianura.
Poi bisognava attraversare la pianura e ricominciare a salire per un bel tratto, dentro e fuori dai paesi aggrappati alla strada.
Ora c’era sempre più gente, per i sentieri, e dalle case ne usciva dell’altra. Donne dai balconi gridavano: «Aspettatemi.»
Dalle finestre aperte la vita delle case si rovesciava fuori con luci, suoni e colori. La vecchina vide una ragazza che toglieva dal baule uno scialle prezioso.
«Ecco,» mormorò con un pochino di invidia «lo scialle della dote. Io non porto che questi pomodori seccati. Com’é triste esser poveri, qualche volta, quando non si possono fare bei regali.»
Passò accanto a una casupola delle più meschine. Fuori dell’uscio una donna lavava dei panni in un mastello.
«Che cosa fate, sposa?» borbottò la vecchina «Il bucato la notte di Natale?»
La donna alzò gli occhi dal suo lavoro. Erano rossi e gonfi.
«Mio marito é malato, bisogna che guadagni io qualcosa.»
«Non sentite che i vostri bambini piangono?»
«Li sento si. Vogliono andare con gli altri alla grotta. Ma io non ho tempo di vestirli, ecco perché piangono.»
«Siete proprio un pulcino nella stoppa, non sapete cavarvela,» borbottò la vecchina.
Entrò in casa, diede un’occhiata al malato e gli cambiò l’acqua nella caraffa, poi vestì i bambini, con gesti ruvidi e precisi, senza cessare di rimproverarli meccanicamente. Quelli non badavano ai rimproveri: sentivano le sue mani buone e svelte, si lasciarono vestire in fretta, si lasciarono strofinare la faccia con un asciugamano bagnato, ma quando furono pronti schizzarono via con uno strido acuto; come rondini.
«Ti fanno perdere tempo, ma mica ti dicono grazie,» borbottò la vecchina riprendendo il cammino. Ora poi cominciava a sentire appetito. Avrebbe chiesto volentieri qualcosa alla pastora che filava, con un gatto in grembo, alle donne che recavano in equilibrio sul capo grandi ceste colme di verdura, di ciambelle fatte in casa, di frutti profumati. Ma era troppo orgogliosa per farlo.
Per fortuna un contadino che zappava, e la vide avanzare, già un poco vacillante, spiccò un arancio da un ramo e glielo offrì.
«Bravo,» gli disse la vecchina «pare che vi abbiano messo qui apposta per questo. Avevo giusto sete.» Disse “sete”, non “fame”, perché non le piaceva far sapere agli altri le sue cose, e non voleva essere compatita.
«Ma vi pare la notte adatta per starvene a zappettare?» domandò poi. Voi che avete le gambe buone…» «Avrò presto finito. Coglierò un cestello di arance e mi avvierò. Volete scommettere che vi raggiungo prima del paese?»
In paese la bottega del fornaio era aperta, la bocca del forno rossa di fuoco e il pane fresco profumava la notte.
La vecchina guardò da un’altra parte. Prigioniera del suo seggiolone, una puppetta grassa, rosea e lacrimosa strillava a più non posso, tuffando una mano rabbiosa nel piatto di spaghetti che le stava davanti.
«E tu che hai?» domandò la vecchina «Non ti piace la pappa? Su, su che é buona.» Ma la bambina non si chetava e non voleva mangiare. Finalmente la vecchina scoprì che le era caduta per terra una bambola di stracci: gliela raccolse e la bambina sorrise. «Su,» disse la vecchina, arrotolando uno spaghetto intorno alla forchetta «mangia. Ah, am. Quant’é buono… E la tua mamma? Le tue sorelle?
Tutte a vedere il corteo dei Magi, scommetto. E te, ti lasciano qui sola come un’orfanella. Mangia con la nonnina, su. Ecco, brava, brava.»
La bambina, mangiando, farfugliava il suo linguaggio di sillabe sperdute, di mugolii ed esclamazioni senza significato: «Baa… beee…. gnioooo… Uhhh!»
La vecchina cominciò anche a parlare a quel modo, e intanto i minuti passavano, e passava la gente, sorridendo. Passò uno zampognaro, seguito da un codazzo di ragazzi. Passò quel contadino di prima, col suo cestello di arance. Solo quando il piatto fu vuoto la vecchina si riscosse, si guardò intorno, si rialzò.
«Piccerella mia, bisogna che me ne vada, altrimenti non arriverò in tempo. Vedi laggiù, quel chiarore? E’ la cometa che sta per spuntare. » «Biaooo… booo» rispose la pupa.
«Stai buona, si? Presto tornerà la tua mamma»
Ora la folla era un fiume variopinto e chiassoso, risuonava di grida, di pifferi, di nacchere e la vecchina era quasi al centro del presepe, e la luce della stella saliva in cielo come un incendio di buon augurio, e per un po’ la vecchina fu presa a braccetto da un gruppo di ragazze che cantavano e camminavano a passo di danza, e questo le fece mancare il respiro. Dovette proprio sedersi un momento a riposare, sulla panca di una osteria campestre, ma non accettò il bicchiere di vino che l’oste le offriva, per paura che le mettesse il capogiro, bevve solo un po’ d’acqua.
La gente passava. Era passata. Appena qualche ritardatario allungava il passo. Ecco, più nessuno.
«Arriverò ultima anche quest’anno» sospirò la vecchina «e di lontano vedrò ben poco si sa. Le mie povere gambe mi fanno male come se me le avessero battute.
Si fece coraggio, a passi sempre più brevi e incerti, e ogni tre passi doveva fermarsi un attimo perché il cuore si calmasse. I rumori e luci della gran festa erano come una nuvola che si allontanava. Le pause di silenzio erano sempre più lunghe e distese. In uno di quei silenzi udì «di nuovo! ancora» il pianto di un bambino. «Povero piccolo,» mormorò la vecchina «in una notte come questa, davvero, non ci dovrebbe essere al mondo un solo bambino che piange. No, no: in tutto il mondo non dovrebbe piangere nessuno. Ma tu dove sei, piccolo povero fantolino? Dove sei, bello di mamma tua?» Il pianto veniva da una capanna posta a pochi metri dalla strada. C’era una siepe, intorno, ma così cadente che la vecchina non ebbe difficoltà ad attraversarla. La capanna era tutta buia, il pianto veniva di là. «Eccomi, eccomi,» sussurrava la vecchina, «eccomi, sono qui. Entrò nella capanna e proprio in quel momento per fortuna, la cometa superò l’ultima montagna, e illuminò tutto il cielo e al chiarore che penetrava dalla porta la vecchina vide il pagliericcio, la giovane donna che vi stava distesa con gli occhi chiusi, come svenuta, e il piccolo tutto nudo che giaceva accanto e piangeva. 
«Ma tu hai freddo, ecco che cos’hai» esclamò la vecchina con la sua voce più dolce.
E sempre parlando tra sé la vecchina si muoveva per la capanna, trovava le povere fasce preparate per il neonato, e lo avvolgeva. A un tratto «Grazie» senti dire con un filo di respiro. Si voltò, e vide che la giovane madre era tornata in sé. Era troppo debole per muoversi e per parlare, ma i suoi occhi riconoscenti dicevano tante cose. 
«Brava, brava,» disse la vecchina. E intanto accendeva il fuoco; metteva un po’ di acqua a bollire e il fuoco rischiarava la capanna come una piccola, capricciosa cometa che giocava con le ombre. E poi venne l’alba, piano piano grigia, poi bianca e dorata. La madre e il bambino dormivano. La vecchina dormiva su una sedia, col mento sulla mano. E quando si svegliò era tornato il padre e la notte di Natale era passata, e la vecchina non era arrivata fino alla grotta, perché tutti quei bambini le avevano fatto perdere tempo, ma era contenta e serena, anche se non aveva visto i Re Magi, gli angeli lontano lontano; sopra un mare di teste, la grotta.
Così lasciò quei pomodori seccati sul tavolo e si mise sulla via del ritorno, un passo dopo l’altro, nel silenzio del grande presepe addormentato, su su, in cima ai sentieri, ai tetti, alle scale, alle scalinatelle, fino a casa sua; che era la più vicina alle stelle”.

Gianni Rodari

lunedì 10 ottobre 2011

Scarpette rosse di Joyce Lusso



C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald [Continua...] erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chissà di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti
non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole
JOYCE LUSSO






Joyce Lussu nasce come Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti a Firenze, l’8 maggio 1912 .
Insieme al fratello Max, Joyce entra a far parte del movimento "Giustizia e Liberazione" e nel 1938 incontra Emilio Lussu, compagno e marito da ora in poi fino alla sua morte, con lui vive la drammatica e spericolata vicenda della clandestinità, nella lotta antifascista
La Francia occupata dai nazisti, la Spagna, il Portogallo, la Svizzera, l’Inghilterra, saranno il teatro di rischiose missioni, passaggi oltre confine, falsificazioni di documenti, corsi di guerriglia.Raggiunto, in questa militanza il grado di capitano, nel dopoguerra verrà decorata con la medaglia d'argento al valore militare. In “ Fronti e Frontiere” (1946) lei stessa racconterà, in forma autobiografica le dure e al tempo stesso avventurose esperienze di questo periodo: sarà un libro di grande successo.
A liberazione avvenuta, vive da protagonista i primi passi della Repubblica Italiana.
Promotrice dell Unione Donne Italiane.’
Dal 1958 al 1960, continuando a battersi nel segno del rinnovamento dei valori libertari dell’antifascismo, sposterà il suo impegno verso le lotte contro l’imperialismo.
 Sono gli anni dei viaggi con organizzazioni internazionali della pace, con movimenti di liberazione anticolonialistici; e per conoscere le situazioni storico-culturali del "diverso", si occuperà della poesia lontana ed, in un certo senso, estranea all’antica cultura dell'Occidente, quella degli "altri", dalla quale era fortemente attratta perché la sentiva strumento unico, rapido ed efficace di conoscenza Dedicherà una parte fondamentale della sua forte carica vitale al rapporto con i giovani, nell’ipotesi di un futuro di pace, da costruire con impegno costante e conoscenze adeguate del passato, degli errori, delle violenze e delle ingiustizie che non dovevano ripetersi. È morta a Roma il 4 novembre 1998, all’età di 86 anni.
Al suo nome, dal 2006, è stato intitolato il Premio annuale di narrativa "Città di Offida - Joyce Lussu".
Opere:
C'è un paio di scarpette rosse.poesia
Liriche, Ricciardi 1939.
Fronti e frontiere, Ed. U 1944, Laterza 1967, Theoria 2000.
Tradurre poesia, Mondadori 1967, Robin edizioni 1999.
Le inglesi in Italia, Lerici 1970, Il lavoro editoriale 1999.
Padre Padrone Padreterno, Mazzotta 1976.
L’uomo che voleva nascere donna, Mazzotta 1978.
herlock Holmes Anarchici e Siluri, Il lavoro editoriale 1982, Robin edizioni 2000.
L'olivastro e l'innesto, Edizioni della Torre 1982.
Il Libro Perogno, Il Lavoro Editoriale 1982.
Portrait, Transeuropa 1988.
Le comunanze picene, Andrea Livi Editore 1989.
L’idea delle Marche, Il lavoro editoriale 1989.
Il Libro delle Streghe, Transeuropa 1990.
Alba Rossa Un libro di Joyce ed Emilio Lussu, Transeuropa 1991.
L'Uovo di Sarnano, Andrea Livi Editore 1992.
Lo smerillone, Andrea Livi Editore 1993.
Itria e le lontre, Andrea Livi Editore 1993.
Sguardi sul domani, Andrea Livi Editore 1996.
L’acqua del 2000, Mazzotta 1997.
Il turco in Italia (ovvero l'italiana in Turchia), Transeuropa 1998.
Sulla civetteria (con Luana Trapè), Voland 1998.
Inventario delle cose certe, Andrea Livi Editore 1998.